La „flessibilità” dello Statuto albertino e il regime fascista
DOI:
https://doi.org/10.12775/TSP-W.2021.005Abstract
Lo Statuto del Regno di Sardegna, concesso nel 1848, non diceva nulla circa la procedura per la sua revisione. Pertanto, fu comunemente ritenuto che per modificare il testo originario fosse sufficiente la procedura legislativa ordinaria. Pur nondimeno, innovazioni del massimo rilievo ebbero piuttosto luogo senza alcun atto formale. In alcuni casi queste andavano ben oltre le previsioni dello Statuto, mentre in altri casi addirittura le contraddicevano, con riguardo a questioni essenziali. Il testo originario divenne così parte di un ordine costituzionale de facto alquanto incerto, cedevole e rimodellabile. Ciò ebbe molte conseguenze rimarchevoli e indesiderabili. Quando il fascismo prese il potere negli anni Venti dello scorso secolo, il sistema politico italiano subì uno shock profondo, che tuttavia fu ritenuto compatibile con la costituzione de facto, come plasmata e applicata in precedenza dagli attori politici rilevanti, anzitutto dalla monarchia. Poi i fascisti al governo puntarono a ulteriori alterazioni, devastanti per i principi liberali e le istituzioni rappresentative, ma fecero attenzione ad introdurle attraverso atti formalmente legislativi. Così facendo, dimostravano un’obbedienza esteriore allo Statuto. Se il fascismo fosse rimasto al potere per più tempo, secondo quelle che erano sue intenzioni dichiarate sarebbe forse riuscito a trasformare il sistema politico italiano in un totalitarismo. Al riguardo rilevano il modo in cui erano stati concepiti lo Statuto e la sua revisione nell’Italia prefascista, nonché il ruolo effettivamente svolto dalla monarchia durante il periodo fascista.
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